domenica 30 maggio 2010

Ma la tv del buonsenso?

Un conto è la libertà d'espressione. Un altro conto è il buonsenso.
Chi mi conosce sa che sono ben lungi dall'essere di mentalità ristretta ma che ho un grande rispetto per le regole perché credo che garantiscano la libertà. Di tutti.
Ecco perché il codice di autoregolamentazione che dovrebbe offrirci della tv improntata al buonsenso, oltre che al business (sì: lo sappiamo che la tv è un business. Diamo pure questo punto per scontato: lo sappiamo tutti!), per me non vale questo granché. Certo: la censura legislativa non è la soluzione, anzi.
Ma dopo aver visto un paio di programmi in tv negli ultimi due giorni, non posso fare a meno di chiedermi cosa ci voglia a riunire un nutrito gruppo di esperti seri (non quelli del Moige, quindi) almeno per buttar giù almeno riflessione concreta sulla nostra tv.
Perché, che lo vogliamo o no, la televisione possiede un potere sterminato. Ciò non significa che bisogna tentare di ingabbiarlo in norme che rischiano di fare ancora più danni, bensì che è un nostro preciso dovere mettere chi la guarda in condizione di proteggersi dai suoi pericoli.

Sono anni che vado dicendo sempre la stessa cosa: bisogna educare i telespettatori, fin da giovani. 
Bisogna spiegare loro quali sono i meccanismi che regolano i ritmi televisivi, quali sono le leggi dell'ascolto, come funzionano le sponsorizzazioni e la pubblicità. Così come bisogna spiegare agli appassionati di cinema che esistono gli effetti speciali, come funzionano e come mai non è una buona idea copiare le gesta dei personaggi cinematografici e televisivi. Sembra banale, ma poi succede qualcosa di brutto e l'eterno dibattito si riapre, come una ferita che perennemente incapace di rimarginarsi: il cinema è diseducativo? La violenza ispira il cinema o il cinema ispira la violenza? La tv è il male? E bla. Bla. Bla.
La questione è complessa, per carità, ma io sento di poter affermare con una certa sicurezza che laddove un intervento educativo c'è stato (da parte dei genitori, di solito), i guai - chissà perché - non arrivano.
Non ho la pretesa di mettermi a discutere della tv usata come baby-sitter o di un'infinità di situazioni che, ne sono sicura, non dovrebbero essere discusse da chi non le vive. La vita è dura, si sa. Ecco perché ci dovrebbero pensare le istituzioni, a fornire questa educazione.
Gli anni della formazione, quelli in cui la realtà e i sogni a volte si confondono, è troppo importante per lasciare che un elettrodomestico e delle immagini in movimento le rovinino.

Ho visto la mia prima (e ultima) puntata di Little Miss America, oggi.
Non riuscivo a credere ai miei occhi: una schiera di folli (genitori, insegnanti, giudici) affiancati da bambini innocenti trasformati in piccoli mostri capricciosi, isterici e atteggiati a star della tv.
Davanti a una cosa del genere, il caro vecchio "dove andremo a finire" fa capolino spontanemante fra i tuoi pensieri. Inutile (e dannoso) cercare di fermarlo.
Una volta la tv insegnava. La lingua, la clutura, l'amore per la musica, il teatro ed il talento.
Tranquilli: ora non attacco l'inflazionatissimo "non ci sono più le mezze stagioni" o "non ci sono più gli uomini di una volta". Ma sul fatto che non ci sia più la tv (generalista) di una volta non ci piove.
Oggi viviamo nell'era dei grandi fratelli, delle isole dei famosi, dei concorsi di bellezza, dei reality competition in cui uomini, donne e (ahinoi) bambini danno il peggio per dimostrare... Cosa?
Che l'importante è ottenere l'agognato quarto d'ora di celebrità per fare soldi, godere dei privilegi della fama ed insultare una ragazza nel modo più becero perché non sa chi sei e non ti fa entrare in discoteca?
Per carità: gran parte del pubblico ha una coscienza critica abbastanza sviluppata per riconoscere questa pattumiera. E se vuole guardarsela... è affar suo: una volta che uno è consapevole, io non ci vedo nulla di male.
Ma da qui ad avere accesso ad un pubblico talmente giovane e influenzabile che finisce per credere davvero che se pesi 47 chili sei grassa (America's Next Top Model docet) e non avrai mai successo nel campo dello spettacolo, ce ne passa. E ne va della nostra dignità, per giunta.

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