domenica 28 febbraio 2016

La dura vita del recensore (e del critico)

Ho sempre scritto due - e in qualche caso ben più di due - righe di recensione per i romanzi che leggo.
Lo faccio per abitudine, perché recensire è il mio lavoro.
Ma c’è una bella differenza fra recensire una serie TV, un film o un romanzo.
La differenza sta negli strumenti.

Per analizzare un episodio di una serie TV o un film, mi baso sulla conoscenza delle tecniche di sceneggiatura, regia e montaggio (proprie del mezzo specifico, film o TV), sull’utilizzo della colonna sonora, sulla verosimiglianza di dialoghi e personaggi, sulla corretta contestualizzazione di ogni elemento inserito nella narrazione. E su molti altri strumenti tecnici che sarebbe tedioso illustrare).
Per analizzare un romanzo, invece, entrano in ballo altri elementi: l’uso della lingua, la scelta dei vocaboli, la punteggiatura, la coerenza della narrazione, lo stile, la manipolazione del materiale di base, le tecniche di adattamento, se si tratta di un caso del genere, la capacità dello scrittore di costruire ritmo e tensione, e molto altro.
Indifferentemente dal prodotto analizzato, però, c’è qualcosa che non cambia mai: scrivere le proprie impressioni su un film, una serie TV o un libro, significa mettersi in gioco.
Io lo faccio da anni, per lavoro, e non me ne sono mai pentita. Nemmeno quando sono stata fraintesa, o peggio (demolisci un film o una serie idolatrata da un gruppo di fan e conoscerai le pene dell’inferno…).
Quindi ho una sola regola: motivare le mie opinioni. Se ci sono dei difetti, o dei pregi, nell’opera di cui mi occupo, cerco di evidenziarli nel modo più oggettivo possibile, perché rappresentino il punto di partenza delle mie impressioni. E perché lo facciano unitamente al mio bagaglio culturale, alla mia esperienza, alla mia sensibilità - che è sicuramente diversa da quella di altri telespettatori e lettori: ciascuno di noi è diverso, e percepisce le esperienze in modo diverso.
La cosa più difficile da fare è unire le mie impressioni personali, derivate appunto da esperienza, sensibilità, gusto (e molto altro: età, professione, stile di vita: tutto influisce sul nostro bagaglio culturale), agli strumenti professionali legati ai vari mezzi.
Rileggendo le mie prime recensioni, scritte quindici e più anni fa, trovo ciò che mi colpisce sempre anche negli scritti degli aspiranti critici alle prime armi. Parlo del tentativo, esasperato, di essere oggettivi; dell’utilizzo di frasi fatte, tipiche di chi si avvicina per la prima volta a questa professione e ha studiato/letto/ascoltato molti altri, dai quali ha tratto una serie di formule-base che usa, però, senza condirle con l’ingrediente fondamentale: la personalità.
A tutti loro, gli aspiranti critici e recensori che mi chiedono consigli sottoponendomi testi con queste caratteristiche, rispondo sempre la stessa cosa: cerca di mettere te stesso, in quello che scrivi.
Cerca di dare dei consigli, di spiegare ai tuoi lettori perché dovrebbero o non dovrebbero impiegare alcune ore delle loro vite leggendo il tal libro o vedendo il tal film.
Parla di ciò che ha colpito te, motivandolo, ma anche delle emozioni che hai vissuto e delle impressioni che questa esperienza ti lascerà per sempre.
Infine, non anticipare nulla della trama, mai. Non hai bisogno di raccontare una serie, un romanzo o un film, per recensirlo. Puoi accennare all’ambientazione e ai personaggi principali, certo, ma è bene non svelare mai un colpo di scena, né - ovviamente - il finale. Però puoi dire se ti è piaciuto o no, quel finale, e se l’hai trovato coerente o forzato. Toccherà ai tuoi lettori, in seguito, giudicare se sono d’accordo con te.
Nelle mie “regole per la lettrice felice” ho insistito sull’importanza dei consigli.
Le recensioni, se fatte come si deve, sono ottimi consigli. Ḕ così che io arrivo a scoprire romanzi nei quali non mi sarei mai imbattuta. Ḕ così, con il passaparola, che si crea il prodotto di culto. Ricordo di aver scoperto Riddick e Pitch Black, appena uscito in home video, per caso. Quando nessuno ne aveva ancora scritto. E ricordo di aver divulgato un articolo che lo fece conoscere a molti altri, aspettandomi un sequel, che poi arrivò. Io e molti altri facciamo del passaparola lo strumento per conoscere cose che ci piacciono.
Questo è solo un esempio del vero scopo delle recensioni: la condivisione. La voglia di spingere altri a leggere un romanzo che ti ha stregato, o a evitare di sprecare tempo con un brutto film.
Le recensioni non sono riassunti, né prese di posizione assolute: “L’ultimo film di Cippa Lippa è orrendo, risparmiatevi i soldi del biglietto” non è una recensione. “L’ultimo film di Cippa Lippa è orrendo: la trama è sconclusionata, piena di passaggi illogici e condita da personaggi sono tagliati con l’accetta, piatti e inverosimili” lo è. Non è necessario scrivere un poema per ogni libro, film o serie TV. A volte bastano poche parole, motivate. Anche da frasi fatte ed espressioni ricorrenti, che ho usato volutamente in questo esempio.
Per scrivere una buona recensione, però, bisogna dare di più. Bisogna prendere appunti durante la lettura o la visione, fare appello al proprio bagaglio d’esperienza, che fa la differenza, e scegliere con cura le parole. Trovare il termine giusto per dire ciò che si vuole non è sempre facile. Ci vuole esercizio. Poi, un giorno, ci si arriva.
Infine, per fare una buona recensione bisogna saper usare il linguaggio. La forma non è secondaria: bisogna essere chiari, altrimenti non vale la prima regola dello scrittore: “Se non capisci ciò che io ho scritto chiaramente, il problema è solamente tuo”. E se vai a vedere un film che non ti piacerà, perché è oggettivamente un disastro, sarà solo per tua scelta: io ti avevo avvertito.
Si spera di essere utili. Si condivide. Per questo si recensisce.

E io spero, con questo post, di aver esposto chiaramente qualche consiglio utile per chi vuole impegnarsi a diventare un critico o un recensore.

Nessun commento:

Posta un commento